
Lo sport è da sempre metafora di vita, diceva Gian Battista Vico che si parla di "corsi e ricorsi storici": una frase spesso banale, usata a sproposito e in situazioni grammaticali e ipotetiche inaccettabili, ma che ha un enorme fondo di verità.
L'attività sportiva è esposizione sudata della società in cui si vive, delle sue tradizioni e contraddizioni avverbiali e tautologiche. Se l'italiano è questo, lo sport che lo rappresenta poco o nulla si discosterà dal suo essere tale e i risultati saranno lo specchio di tutto ciò.
Fare una analisi su noi stessi è sempre difficile ed è poco obiettiva e non sempre viene accettata. Ma se reale, se confacente alla visione che abbiamo di quello che abbiamo intorno e di quelli che noi siamo, è importante per capire chi siamo.
Ultimamente abbiamo scoperto di essere un popolo di nuotatori, almeno dopo gli ultimi mondiali, anche perchè in realtà il nostro Paese è abile a galleggiare in acque limacciose ed era ovvio che prima o poi (nonostante la scarsità di risorse) saremmo riusciti a primeggiare in questo sport.
Di sicuro non siamo degli atleti, abituati alla meravigliosa buona tavola nostrana, e tra una pasta al forno e l'altra quando scendiamo in pista a correre andiamo così piano che potremmo addirittura tornare indietro nel tempo: è vero non abbiamo le fasce muscolare degli afroamericani, non siamo magri e resistenti come i keniani, ma la verità è che non abbiamo voglia. Abbiamo un velocista di 19 anni che esulta per essere arrivato settimo, e un saltatore in alto più bravi a sbarbarsi a metà che a saltare. Siamo bravi sulle spiagge d'Estate a fare balli di gruppo osceni, coltiviamo energie inesistenti con terapie di culture di cui nemmeno conosciamo il nome, ma in genere siamo pigri e non ci sacrifichiamo più.
Siccome non sappiamo ancora volare, rimangono poi gli sport di squadra. Abbiamo dei grandi campioni su internet, sui social e sui like: nella vita di tutti i giorni invece non sappiamo nemmeno fare la colazione da soli. I nostri sportivi sono italiani nel vero senso della parola: sono belli, si presentano bene, hanno vestiti griffati. Ma non fate usare loro il cervello, potrebbero succedere cose spiacevoli.
Gli sport di squadra hanno bisogno di un buon numero di atleti consapevoli delle proprie idee da condividere con i compagni, esiste anche una sorta di intelligenza sportiva ("è intelligente calcisticamente" si diceva un tempo) che è un po come dire che usciti da un contesto siamo dei completi cerebrolesi.
La vita di molti atleti, dopo la fine della attività per evidenti motivi di età, è una collezione di stupidità, investimenti sbagliati e quanto di peggio possa accadere.
E la nostra società al momento è questa: individualista e concentrata sui selfie, poco intelligente e senza la voglia di sacrificarsi. Cultura (sportiva in questo caso, in altri generali) assente e analfabetismo funzionale imperano. Impazzisco quando vedo questi fenomenali tecnici di tutti gli sport illustrare ai propri atleti delle cartine con disegnini che secondo me nemmeno loro capiscono: dovrebbe essere il loro lavoro in campo, in realtà sembra la settimana enigmistica dove la soluzione è sempre sbagliata.
I risultati sono evidenti: nel calcio siamo maestri di tattica, e appena usciamo dal nostro paese prendiamo delle batoste mica da ridere da quattro ignoranti (noi crediamo questo, ma non è vero) che hanno fame e corrono come dei matti. Nel rugby non ne parliamo neanche, abbiamo capito solo (ma forse) cosa sia il "corridoio" dopo le partite, il resto lasciamo perdere. A basket siamo piccoli, fragili e ci schiacciano sempre in faccia, nella Pelle dopo aver dominato per anni ormai non siamo più all'altezza.
Questa è l'Italia ed è sempre la stessa storia.

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