
Metti una sera sulle Ramblas, tira una bella aria qui. C'è tanta gente, molto gioiosa e spesso ubriaca. Le spiagge di Barceloneta raccontano una storia di una Estate che non vuole finire, i ricordi di una bella vacanza svaniranno al termine di una battaglia nel tempio di Lionel Messi: il Camp Nou.
E un ricordo dolce qui, il 2010 l'anno del Triplete, il falò di una breve e realistica gloria quando ad agitare le dita in cielo fu Josè Mourinho che, sempre nella perfida penisola iberica contro il Bayern avrebbe completato quella incredibile stagione. Dopo quelle epiche sfide fatte di dialettali e irrispettose affermazioni, di tradimenti, di aerei che si fermavano per colpa di un vulcano islandese dal nome impronunciabile, sembra passato un secolo.
Sono passati i tempi di Moratti, scialacquatore di denaro e collezionista di bidoni improvvisamente ravvedutosi quando tutto sembrava perduto in incompetenze incomprensibili, a quelli biscazzieri affetti da nanismo con mogli orribili oggetto di ludibrio rivelatisi geni della finanza, poi con gli occhi a mandorla è arrivato Suning, sotto forma del figlio viziato di papi ricco. Gli inizi di questa nuova avventura sono stati sconfortanti, ma ora sembra che qualcuno abbia capito come fare. La giovane Marotta, e il gran Mogol Conte vogliono cambiare questo trend.
Al Camp Nou ieri c'era in panchina il premier di Lecce Antonio Conte, che però non era a capo di un governo giallorosso, ma comandava una accozzaglia di garibaldini un tempo senza ne arte e ne parte a cercare di compiere una impresa. Ma la Catalogna è da sempre un posto ostile per il nostro calcio e qui nessuna rivoluzione, anche se paventato è ammessa. Ogni forma di indipendenza viene negata in campo dal comandante Messi e dai suoi sodali.
Non è più il tempo di Guardiola però, si vede: il possesso di palla è stanco, in campo ci sono brasiliani in grado di accarezzare la palla e l'erba con la tempistica di una lumaca. Quale migliore occasione allora per Lautaro di gelare questo che "mes que un club" sempre, ma che ora sembra davvero meno forte.
Ed inizia da questo momento la storia di un nuovo crimine contro l'umanità: avere un nemico ferito, da abbattere definitivamente, e invece di finirlo lo si lascia recuperare con eccessiva dovizia di modi e di carezze. E poi quando il portiere teutonico non ci arriva con le sue braccia, arrivano le sconsiderate conclusioni senza Sensi che portano l'Inter in Barella. E non c'è nemmeno un amico Vecino a poterti aiutare.
Il Nino non Maravilla più nessuno nella ripresa e ci si accorge che le partite durano ben novanta minuti. Suarez, che negli ultimi anni mi raccontano abbia segnato poche volte, si ricorda che il suo mestiere è fare grandi goal e di essere un uruguaiano che non dimentica mai veramente come si morde.
E il risultato è ribaltato, la sconfitta arriva e l'uomo dal capello posticcio decide che è colpa degli arbitri e che bisogna avere rispetto, dimenticandosi dove si è giocato e con chi. Cercando un alibi per una sconfitta ironica nei modi, amara negli esiti.
E domenica il derby d'Italia contro i terrificanti grassatori di titoli che hanno costretto tutti i bambini fino alla quinta elementare che lo Scudetto possono vincerlo solo loro: una meravigliosa bugia corredata dai fatti che nessuno è riuscito a smentire.
Ma questa è un'altra storia.

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