
Il prato di San Siro ha un fascino unico. Inaugurato tra mille dubbi nel 1926 con la frase "Ma se poi questa mania del calcio passa?", San Siro ha raccontato la leggenda di Giuseppe Meazza che nel giugno del '34 trascina l'Italia in finale dove poi vincerà il suo primo Mondiale, ha ospitato Baùscia e Casciavìt dal 1947/48 fino al rigore decisivo di Martinez nell'ultima stracittadina.
E' stato, con pieno diritto, ribattezzato Scala del Calcio e in quel palcoscenico d'onore hanno sognato i miti rossoneroazzurri, Mazzola, Rivera, Beccalossi, le bombe di Matthaus, l'istinto di Van Basten, le punizioni di Del Piero unito al cucchiaio di Totti, l'alba del 23 maggio 2010 quando i tifosi nerazzurri abbracciarono il vecchio stadio per il tributo al Triplete, arrivando ai giorni d'oggi con Icardi e Martinez.
San Siro è stato l'ufficio preferito di Gianni Brera in tribuna stampa (che lo immaginiamo lassù che accompagna il vecchio San Siro alla demolizione) e di Gianni Vasino in collegamento con 90°Minuto, ha omaggiato l'ultima radiocronaca di Riccardo Cucchi ed è il gioiello di Milano che al solo pensiero che le proprietà straniere dei due club possano abbatterlo, insorge.
E' vero, il calcio romantico non esiste più. Ci hanno tolto la magia della contemporaneità delle partite alla domenica, sono sparite le bandiere calcistiche e sponda Milan e Inter non c'è più la passione di Berlusconi e Moratti. Il calcio è diventato business, come in America, come in Inghilterra che si abbatte Wembley per nuovi palcoscenici al passo con i tempi ma che non possono dire di aver tradizione e storia. Ci si vuole togliere anche la storia, ma la storia non si abbatte, la storia è San Siro. E San Siro non si tocca.

Chissà che avrebbe detto il povero avvocato Prisco