
Massimiliano Mirabelli è ancora il direttore sportivo del Milan. C'è bisogno di scriverlo, perché facendo un bilancio della stagione rossonera la riconferma ha dell'incredibile. Siamo felici per lui, ma adesso è giunto per lui il momento di dimostrare di avere la stoffa per fare il costruttore di squadre. Per adesso se l'è cavata meglio con le demolizioni.
Dalla gestione Berlusconi/Galliani non aveva ricevuto in eredità la rosa del grande Milan che fu, però, dopo la fase travagliata del post Allegri, caratterizzata da una lunga serie di cambi alla guida tecnica, con Mihajlovic e soprattutto nel primo anno di Montella la squadra era riuscita a darsi un senso e perfino una stella, Suso, che nonostante la campagna acquisti faraonica dell'estate scorsa ("Abbiamo investito più di 230 milioni", dichiarò a fine agosto l'ad Fassone via social) continua ad essere il calciatore più forte della rosa.
Soldi che avrebbe potuto investire diversamente: pochi colpi mirati ma di impatto sia tecnico che mediatico, anziché ricostruire una rosa ex novo ma di egual valore. Avesse consultato la signora di un vecchio e famoso spot di detersivo che aveva per protagonista il compianto Paolo Ferrari, Mirabelli avrebbe saputo che non si scambia mai la possibilità di tesserare un Pierre Aubameyang con due onesti centravanti e nulla più, quali sono Andre Silva e Kalinic. È andata così, è andata male e poi s'è messo addirittura a piovere. Ma questa è un'altra storia. La società e il destino gli hanno dato una seconda possibilità ed un budget scarno, cerchi di non sprecarla.
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