
«Non sposerei mai quella scimmia». Da questa frase scocca uno degli anni più difficili per il migliore calciatore sovietico di sempre, il 1957. Il matrimonio con Alla Demenko, avvenuto negli ultimi giorni di febbraio, potrebbe alleviarlo se non fosse che il Partito lo sfrutta per accanirsi nuovamente contro il giocatore: non sarebbe il momento migliore per sposarsi, visto che la squadra è nel mezzo della preparazione precampionato. Ci rimette anche la Torpedo Mosca, accusata di educare male i propri dipendenti. Dal matrimonio nascerà sua figlia, Mila, nel maggio 1958.
In meno di due decenni di vita, Streltsov è riuscito a inimicarsi buona parte della nomenklatura. Ne sta pagando le conseguenze a Vyatlag, uno sterminato complesso formato da una cinquantina di campi di prigionia e un totale di circa 20.000 persone. È arrivato in treno, dopo un viaggio di più di dodici ore.
24 novembre. Lipsia, Germania Est. Streltsov scende da un altro treno. Polonia e URSS hanno concluso il girone di qualificazione a Svezia 1958 a pari punti, si necessita di uno spareggio in campo neutro. Lui e l'amico Ivanov l'hanno perso quel convoglio e sono costretti a inseguirlo in auto fin quando il Ministro delle Ferrovie ordina al treno di fermarsi a Mozhaisk, ancora in URSS. Streltsov gioca titolare, ma si fa male subito, esce dal campo a fatica e chiede ai medici di farlo rientrare: su una gamba sola, gioca meglio degli altri e sigla la prima rete nel 2-0 che spedisce i sovietici al Mondiale. Non è passato un anno da quella sfida. Il Mondiale, invece, è passato. Ha trionfato e incantato tutti un brasiliano diciassettenne: Pelé. I primi mesi nel gulag sono durissimi: Streltsov resta quasi ucciso in un agguato dei «ladri» - figura all'apice della criminalità sovietica - finendo in ospedale.
11 aprile. Campo neutro di Odessa, si gioca la seconda di campionato con lo Spartak Minsk. È un attaccante rapido, tecnico, imponente, dal tiro potente e preciso, calcisticamente geniale. Fa impazzire i difensori, che non lo risparmiano con entrate al limite del regolamento. Il più delle volte si rialza sulle sue gambe. Al 10° segna il gol partita, ma il terzino Artemev continua a provocarlo per tutto l'incontro e alla mezz'ora Streltsov reagisce con un fallo che gli costa la prima espulsione in carriera. La macchina del fango non si ferma: i giornali titolano «Questo non è un eroe», la condanna risuona in tutta l'Unione scatenando una sommossa popolare aizzata dal Partito. L'attaccante è richiamato dalla federazione che gli ritira l'onorificenza di «maestro benemerito dello sport» per la vittoria all'Olimpiade - assegnata a tutti; garantiva uno stipendio migliore - poi cambia idea e lo squalifica per tre turni.
Si è attaccato con un criminale e dopo quattro mesi d'ospedale ne è uscito vivo. I «ladri» non finiscono il lavoro e Streltsov torna a sopravvivere. A 30 gradi sotto zero, ma sopravvive. Si organizza un campionato di calcio all'interno del gulag e l'ex Torpedo mostra le proprie immense qualità. Anche se non è quello il suo posto. Dovrebbe confrontarsi con ben altri avversari, su altri palcoscenici, illuminando Mondiali, Europei, Olimpiadi, già... Olimpiadi.
9 gennaio. Mosca, Unione Sovietica. Cremlino. Si celebrano proprio le vittorie dell'Olimpiade australiana, in una serata in cui sono presenti i maggiori vertici dello Stato. A un certo punto della serata, gli si avvicina Yekaterina Furtseva, all'epoca unica donna presente nel Politburo (seconda in assoluto), futuro Ministro della Cultura per 14 anni (1960-1974) e fedelissima di Krusciov fino all'ultimo giorno. Furtseva propone il matrimonio tra sua figlia sedicenne, Svetlana, e Streltsov stesso, questi rifiuta dicendo che sta per sposarsi con un'altra ragazza, Alla Demenko. La serata non finisce e qualche bicchierino più tardi, mentre parla con un amico, Streltsov si lascia sfuggire quella frase ingiuriosa che investe Furtseva e gli spegne la carriera sul nascere.
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