
"Dna Vincente": questo si legge sul profilo Facebook di Antonio Picci dopo la vittoria nei play off per la serie D del suo Bitonto (categoria Eccellenza) contro l'Afragolese.
E di un vincente si parla, anche se in categorie calcisticamente poco nobili, con una storia straordinaria.
Portato nel mondo del calcio da papà Pasquale, leggendario e vulcanico allenatore conosciutissimo in Puglia e grande intenditore di calcio, Antonio sin da piccolo sembra morso dal sacro fuoco del goal.
Nato il 19 Agosto del 1985, a Bari, alto 1.85, Antonio fa i suoi primi passi nella allora serie C2 con La Pro Vasto, il Vittoria e la Vigor Lamezia. Le prime vere soddisfazioni vengono tra Brindisi e Castel San Pietro tra il 2007 e il 2009 in serie D. Le porte del calcio professionistico a 24 anni sembrano ormai chiuse, ma Antonio, ragazzo tosto e determinato non molla mai.
Ovunque vada a giocare diventa un idolo, la sua maglia è sempre tra le più sudate, l'impegno in campo e in allenamento è sempre spasmodico.
A 26 anni arriva la svolta: dopo una brillante stagione in serie D, sempre quella maledetta categoria che sembra una prigione, all'Hinterreggio, Picci esplode definitivamente a Martinafranca.
I tifosi martinesi lo adorano e li trascina, in un girone ad altissimo tasso tecnico con fior di giocatori, in serie C: le reti realizzate sono 20 in 28 partite!
Incominciano a circolare strane voci: un osservatore del Brescia parla di un ragazzo con uno straordinario coraggio, pieno di fame sportiva, che farebbe al caso delle rondinelle in serie B.
Una occasione unica che sembra impossibile che si realizzi.
Quel giorno me lo ricordo ancora: con i due procuratori calabresi di Antonio e con il padre Pasquale, io accompagnai personalmente il bomber a Ospitaletto.
Erano gli uffici del compianto presidente Corioni, e alla presenza del ds Quaggiotto arrivò la tanto sospirata firma! Il ragazzo era al settimo cielo.
Era partito il sogno, che sembrava irrealizzabile, ed era l'Anno Domini 2012.
Picci ha 27 anni, sa che è l'ultimo treno per raggiungere la gloria. Istruito dal papà Pasquale e dai suoi procuratori, sembra caricato a molla. Le qualità tecniche e umane ci sono. Ma il doppio salto mortale è troppo anche per lui. La fatica degli allenamenti non è la stessa, ovviamente, della serie D.
Picci da tutto, diventa un idolo della tifoseria bresciana (ancor oggi), spesso si sente male perchè negli allenamenti vuole dare il 200 per cento. Gli allenatori di quell'anno non lo amano, con Calori diventa punta di scorta, segna qualche bellissimo goal. Ma non basta.
Nello spogliatoio stringe una amicizia inossidabile con l'Airone Caracciolo, di cui diventa pupillo. Una sorta di fratello maggiore.
Bresciaoggi scrisse: "Il più amato dai tifosi, ma non dagli allenatori. Antonio Giulio Picci, un caso più unico che raro, mai protagonista in partita, sempre in cima all'applausometro, saluta il Brescia con tanta amarezza. E non se la tiene dentro, coerente con il personaggio che è stato, in biancazzurro, in campo e fuori. Uno di cuore, coraggioso, istintivo, fiero anche dei propri limiti. «Le cose più belle sono quelle più sofferte: per questo mi sento più forte di ieri e meno di domani. Addio Brescia, e grazie ancora»".
Da quel momento la parabola ritorna verso quella maledetta D (con una parentesi a Barletta con una società in disarmo in C). Continuano i goal e le promozioni. Ovunque Picci lascia un segno indelebile (a Matera porta la squadra di Columella in serie C dopo una clamorosa rimonta) ma spesso non rimane dove ha vinto.
Un giramondo del goal, che ora, a quasi 33 anni, è un meraviglioso padre di famiglia innamorato di una stupenda moglie che continua a buttare quella maledetta palla in fondo al sacco sperando che ancora una volta, quella gloria appena sfiorata, si ricordi di lui.
Di lui ho un ricordo indelebile (e di calciatori ne ho conosciuti tanti), mi sarebbe piaciuto essere suo compagno di squadra e lanciarlo verso la porta. Verso quel goal per cui è nato!

Bomber straordinario. Ragazzo dall’immensa bontà.