
Milano ieri sera sembrava impazzita. Macchine incolonnate ovunque, un grande senso di attesa. E negli occhi di noi juventini la voglia di scavalcarle quelle file, di arrivare presto a casa. Una processione ipnotica, con una tensione quasi atavica e piena di speranze e di promesse che sarebbe stato difficile mantenere. C'era una sentenza in arrivo, e come un condannato a morte tutti gli amici di altri fedi calcistiche, umiliati e inebriati da tante sconfitte da non capire con chi avevano a che fare, ti dicevano che sarebbe stato impossibile. Che alla fine "Los huevos" dei materassai madrileni erano oggettivamente troppo per chi era forte in patria, ma oggettivamente scarsi e inconcludenti fuori dal giardino di casa.
Ti ripetevi "Fiat voluntas Sua", ma non pensavi a qualcosa di trascendentale, non ti riferivi ai padroni di quella corazzata di carta piena di paure che avevi visto al Wanda, ma volevi che il Re che tanto ti aveva purgato con impossibili rovesciate, prestazioni indimenticabili, facesse maledettamente una volta sola il suo dovere. Avevi visto sempre grandi rimonte mancate per un pelo e ti chiedevi il perché Allegri per tirare fuori una idea dovesse essere sempre senza un domani e perché non ci avrebbe dovuto pensare prima. Speravi in una indimenticabile serata, ma con dentro un senso di dolore.
La salsiccia e le patatine erano pronte, con quella meravigliosa sensazione di bruschetta con origano tutto meridionale che illuminava dei pomodori di un triste supermercato nordista: forse sarebbe stata l'ultima cena, allora dovevi gustartela. Domani avresti dovuto andare al lavoro con una rassegnazione inaccettabile, eri uno sportivo e dunque sarebbe stato vergognoso ammettere che quelli si difendevano bene e che avresti voluto prendertela con il livornese per lo scempio dell'andata e che il più era stato fatto. E sarebbero volate parole grosse, magari saresti arrivato alle mani: perché tu quell'odio verso i tuoi colori lo senti.
Ci voleva il Re, quanto meno di coppe, ma stavolta la briscola non sarebbe stata a mazze, ma sarebbe cambiato tutto solo per una sua decisione. E all'improvviso, con la digestione interrotta dalla tensione e dalla pesantezza di quel filo di carne che proprio non scendeva e che anzi creava l'effetto mattone, avresti visto gli occhi di quei timorosi campioni tramutarsi in leoni. Vedevi il Re decidere che quella sera sarebbe stata il "momento" e lo osservavi incitare i compagni. E capivi che avrebbe fatto giocare bene anche i compagni, li avrebbe trasformati. E scoprivi che quella formazione poteva anche brillare di luce propria, correre alla grande, dare spettacolo. E che tutto era possibile.
E vivevi finalmente quella notte che avresti potuto e voluto vivere da sempre, ci eri andato vicino tante volte e in questa occasione non bisognava fermarsi a un centimetro. E all'improvviso scoprivi che Bernardeschi aveva un sinistro così educato da far volare il tuo Re sopra la testa di chiunque. Ma non bastava, ma intanto King Kong, il turco tedesco e il lezioso non concedevano millimetri agli altri. Bisognava aprire la scatoletta e con un cross del portoghese che non sapeva difendere, il Re è volato in cielo per la seconda volta e dopo che il direttore d'orchestra ha sentito suonare la sveglia dal suo orologio è partita la fanfara.
Eravamo di nuovo riemersi dalla fine... e fino alla fine uno strappo del toscano e una piccola spintarella (che non fa mai male) ci portava al rigore delle scelte: Correa il minuto 85 e il Re doveva mandare la palla dal lato destro. E così sarebbe stato. Il regno era suo per l'ennesima volta e tutti i sudditi e i nemici si dovevano inchinare. L'Allianz la sua casa, i tifosi il suo fossato. Lunga vita al Re: Cristiano Ronaldo!

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