
Sono finiti i tempi in cui Internazionale era sinonimo di squadra multietnica, multi organica, multi culturale e quindi senza una sua principale identità. In nerazzurro i costi degli interpreti e di insegnanti di italiano erano lievitati troppo, quasi a livello di un top player, e si è dovuta orientare una scelta nuova.
L'arrivo dell'ex Commissario Tecnico della nazionale italiana, il premier dal capello di seconda mano, Antonio Conte di filosofia un tempo calvinista, e adesso appartenente alla Scapigliatura Milanese, ha portato a un deciso cambiamento di rotta.
"Prima gli italiani" è un motto sovranista che attualmente ha avuto alterne fortuna nel nostro paese, ma l'allenatore che punta alla leadership del suo campionato, non ha paura e non vuole dimettersi sul più bello.
Sei vittorie su sei in serie A, in Europa (dove si parla una lingua diversa dalla nostra anche a livello arbitrale e tecnico) è andata un po meno bene, ma la terra è stata costruita da Dio in sette giorni, di cui uno di riposo: bisogna avere pazienza.
Quattordici italiani a tredici stranieri è una svolta epocale anche se poi non tutti i nostri alfieri tricolori sono protagonisti: Sensi sta facendo faville e sta crescendo, mentre Barella dopo un avvio un po titubante si sta imponendo. C'è poi l'affidabilità di D'Ambrosio, ragazzo applicato e serio, che garantisce diverse soluzioni in difesa e sugli esterni.
Gli altri italiani sono un po meno protagonisti: Bastoni è appena emerso in prima squadra, dimostrando di essere un centrale di grandissimo futuro e dal buon piede sinistro. Politano è la quarta scelta in avanti, anche se è sempre incisivo, e nel modulo Conte non è prevista l'esistenza dell'esterno del 4-3-3. Candreva è ormai solo una buona alternativa sull'esterno, conosce bene il tecnico che lo ha allenato in nazionale, ma la verità è che ha un grande futuro...dietro le spalle.
Ranocchia, il migliore umanamente della squadra con la sua serietà, è tutto fuorché un giocatore di calcio, da anni scalda le panchine e ha quasi paura di mettere piede in campo. Un uomo spogliatoio un po costoso, un mistero la regressione avuta visti gli esordi scintillanti di Arezzo e Bari.
E' chiaro che per la nazionale è importante che una squadra di vertice abbia dei forti giocatori italiani: giocare in leghe minori o in squadre molto scarse non fa crescere i giocatori ma li abitua a una mediocrità inaccettabile che li rende sempre più anonimi.
Storicamente la squadra del patron Zhang ha avuto una vocazione internazionale. Ma Antonio da Lecce, tecnico intelligente e a volte sopra le righe, sa come fare di questa babele una unica nazione che vuole tornare a vincere.
Ma questa è un'altra storia.

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