
Conosco davvero molti atleti che hanno fatto sport per tanti anni e che, comunque, sono riusciti a sfuggire dalla sciagura dell'infortunio. Conosco altrettanti atleti che, invece, durante la propria carriera sportiva, ci hanno dovuto convivere. Una questione imprevedibile e maledetta, l'infortunio.
Sarà forse una questione di muscolatura e/o ossatura o di scarso allenamento. O forse è solo sfortuna. Fatto sta che quando quest'ultima incontra la vita dello sportivo, non è mai un piacevole appuntamento. La caviglia, il ginocchio, la spalla, le braccia, i tendini ecc. ecc. La lista è lunghissima: a giocare al pallone, sport fisico e di contatto, si rischia veramente di farsi male. Fratture, distorsioni, slogature; si va persino sotto i ferri, nei casi peggiori. Giorni infiniti di pausa estenuante: settimane lunghissime e mesi che non finiscono più. Ed è terribile quando, con il gesso alla gamba o con delle viti sottopelle che ti impongono lo stop, si è costretti a guardare gli altri. Si è costretti ad attendere. E l'attesa è logorante e difficile da gestire. Perché a me? Perché di nuovo a me? Riuscirò a essere quello di prima? Al dolore fisico si aggiungono i turbamenti mentali. Non c'è pace, per l'infortunato, nel periodo di pausa obbligatoria e conseguente riabilitazione. Dall'esterno, come è ben noto e con leggerezza, qualcuno penserà: "Si curi, poi tutto passa". E invece non è così. Non funziona in questa maniera perché, soprattutto chi è recidivo, sa che dovrà sudare più degli altri, se vorrà tenere il loro passo. L'infortunato sa che, oltre alla fisioterapia, dovrà metterci del suo, dovrà richiedere l'ausilio del cuore e di tutte le energie di cui dispone, per ritornare quello di prima. Subentra nella testa un atteggiamento cruento, tipico della battaglia. Come in una guerra che è lunga ed estenuante e che se ne esci vivo potrai ancora far parte della sfida. In questa guerra, tante piccole battaglie, nelle quali se non ci metti un impegno smisurato e tutto te stesso, soccombi. Se invece combatti a muso duro e stringi i denti e la fatica te la fai scivolare addosso affrontando il tutto con la tempra di un vero guerriero, di battaglia in battaglia prosegui, pugni chiusi e sguardo lucido, fino a giungere al momento finale. Dove stanco e stremato, sarai anche felice. In quel preciso istante, sarai pronto. E raggiunto quello step, un piacevole profumo, che ricorda quello della vittoria, inizierà a fluttuare nell'aria.
L'infortunio ti mette rigorosamente alla prova. Spreme ogni tua risorsa e fa vacillare le certezze. E quando sei nuovamente arruolabile e ti rimetti gli scarpini e la divisa di gioco e sul campo corri e sudi e ti fai sentire, fisicamente e verbalmente, una voce si insinua lentamente fra i tuoi pensieri: "non temere, ce la puoi fare, ce la devi fare". E allora quel dolorino che ancora non è smarrito del tutto, non lo senti più. E i piedi vanno più veloci e i palloni di testa devono essere tuoi e quindi le marcature diventano più strette e non passa nessuno e appena puoi, magari, ti smarchi dall'uomo e superi le linee avversarie e poi, se il compagno è preciso, può giungere un cross, in area di rigore, e tu ci sei arrivato lì con tutto il peso di quel che hai subito e, incurante dell'ossigeno che sta venendo a mancare, colpisci al volo la sfera e il portiere non ci arriva e si gonfia la rete. E la gente sugli spalti urla di gioia e tutti i compagni ti saltano addosso per festeggiarti. Hai fatto gol. Ecco: la rivincita è servita. Superate le battaglie hai vinto la guerra. E ti senti, inesorabilmente, più forte di prima.
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